La Sicilia come vera culla della viticoltura italiana, lo dice il DNA

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La Sicilia non soltanto è l’isola più grande del Mediterraneo divenuta ambitissima meta turistica raggiungibile anche in traghetto prenotando sul sito https://traghettisiciliaonline.it/ ma è stata anche il crocevia di incontro per elezione delle civiltà che popolavano il Mediterraneo antico: qui avevano infatti luogo commerci e scambi sia culturali che commerciali.

Nel 2006 ha avuto inizio una curiosa nonché importante ricerca italiana inerente l’ampio e florido mondo del vino. Un mondo attorno al quale ruota un forte business, sempre più in crescita in Italia, e per il quale sono ormai disponibili milioni di accessori come testimonia il portale Accessori Vino A perfetti per migliorare ancor di più questa pregiatissima e richiestissima bevanda.

La ricerca, avviata in cooperazione tra Francesco Carimi e Roberto De Michele dell’Istituto di Bioscienze e Biorisorse del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Ibbr-Cnr) di Palermo, ha prodotto importanti risultati pubblicati sulla rivista scientifica Frontiers in Plant Science.

L’analisi ha dimostrato che la Sicilia è stata la vera culla della viticoltura italiana: le conclusioni raggiunte hanno documentato la storia della domesticazione e della coltivazione della vite in Italia, concentrandosi maggiormente sul Meridione d’Italia.

Per raggiungere questi risultati scientifici è stati necessario analizzare il DNA di circa 2000 vitigni tra selvatici e coltivati e i relativi 295 profili genetici dedotti, per poi confrontarli con quelli di 1.500 viti euroasiatiche.
Confrontando i profili genetici di queste varietà con quelli di 1500 viti euroasiatiche abbiamo visto che esiste una netta separazione genetica tra le viti “siciliane” e tutte le altre, mentre strette affinità si sono trovate tra i vitigni siciliani e dell’Italia meridionale oggi coltivati e le popolazioni spontanee dell’isola” ha affermato Francesco Carimi; un’ipotesi è dunque che le varietà spontanee siciliane abbiano avuto un’influenza ed abbiano partecipato allo sviluppo delle varietà coltivate in Sicilia aiutandole infine nella diffusone lungo tutta l’Italia meridionale ed indubbiamente è stata accantonata la supposizione che i vitigni siciliani avessero un’origine mediorientale.

Francesco Carimi afferma che “la ricerca dimostra che la Sicilia è stata un centro molto importante, dove si è cominciato a coltivare la vite già nell’età del rame, intorno a 6.000-5.000 anni fa”, producendo così anche le prove necessarie a sostenere un’ipotesi avanzata già nel 2017, dai ricercatori che avevano rinvenuto tracce di vino in alcune giare scoperte negli scavi di Monte Kronio (anche noto come Monte San Calogero), vicino Agrigento. Grazie a questi studi è dunque possibile trasportare la “scoperta” del vino dal Medio Oriente alla Sicilia e anche di retrodatarla di 2300 anni fino all’età del Rame (i rinvenimenti più antichi di anfore contenenti residui di vino fino ad oggi conosciuti erano avvenuti in Israele e risalivano a circa 3700 anni fa).

Un altro elemento ancora da dibattere ed esaminare è se la vite selvatica sia stata addomesticata in un singolo episodio oppure sia il risultato di più momenti di contatto.
In Sicilia è testimoniata la presenza remota e spontanea della vite selvatica (V. vinifera ssp. Sylvestris) grazie ad alcuni fossili ritrovati sull’Etna, ma è con l’arrivo dei Fenici e dei Greci che le tecniche di lavorazione dell’uva vennero perfezionate. A testimonianza di questo strettissimo rapporto fra l’isola e il vino abbiamo delle magnifiche monete di epoca greca, d’argento, coniate a Naxos (vicino Taormina), che mostrano da un lato la testa di Dioniso (il dio del vino) e nel retro un tralcio con grappolo di uva e pampini.
D’altronde alcune fonti antiche attestano la nascita di Dioniso e l’origine del suo culto proprio in Sicilia: secondo un mito, appunto, Dioniso sarebbe figlio di Zeus e Persefone, la quale nascosta dalla madre in una grotta siciliana protetta da serpenti, fu invece raggiunta da Zeus col quale si unì dando così la vita a Dioniso.

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